Conosci qualcuno che non sia stressato?

Cosa si intende esattamente per stress?

Stress: cos’è?

Nel 1980, Lazarus ha detto che si può parlare di stress quando una persona si rende conto della discrepanza esistente tra le richieste poste dalla situazione in cui ella stessa si trova inserita e le risorse che ha disposizione, per farvi fronte.

Significati della parola stress

La parola stress deriva dal latino strictus che significa stretto, serrato, compresso e in Inghilterra, nel XVII secolo, il termine era usato con il significato di difficoltà, avversità o afflizione. Nei secoli successivi ha acquisito il significato pressione, tensione o sforzo.

Più recentemente, l’espressione “mettere sotto stress” è stata utilizzata nel campo dell’industria metallurgica per testare la resistenza dei metalli. I metalli vengono sottoposti alla massima sollecitazione, attraverso cicli ripetuti di tensione meccanica, appunto chiamate prove da stress.

Oggi al termine è dato il significato di resistenza relativi ad una persona. Spesso si utilizza il termine stress sia per definire le cause, quindi, i fattori cosiddetti di strain, sia le conseguenze patologiche che questi fattori possono provocare.

Studi sullo stress

Il primo studioso ad occuparsi dello studio dello stress è stato il medico Hans Selye (1936), che ha definito lo stress come una risposta aspecifica dell’organismo per ogni richiesta effettuata su di esso dall’ambiente esterno. Il medico ha sostenuto che gli stimoli stressanti provocano un aumento della secrezione ormonale ad opera della corticale della surrene, si tratta di caratteristica fisiologica dell’uomo.

Egli ha interpretata questa risposta fisiologica dell’uomo come una risposta sistematica generale di adattamento, che ha definito “Sindrome di Adattamento”, definita dal susseguirsi di tre fasi distinte.

Le 3 fasi della Sindrome di adattamento:

  1. La prima fase: viene definita di allarme, a causa della presenza dello stressor (stimolo-evento stressante), che determina nell’individuo il riconoscimento di un pericolo insito nello stimolo. Nella fase di allarme si verifica dunque una reazione di stress acuto in cui l’organismo mobilita tutte le sue difese.
  2. La seconda fase: è quella di resistenza, nella quale l’organismo si impegna a fronteggiare l’evento, mettendo in atto un complesso programma biologico-comportamentale. Il programma biologico-comportamentale consente di “forgiare” la risposta allo stressor, mediante l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
  3. La terza fase: è quella di esaurimento, che si verifica quando termina la quantità di energia presente nell’individuo per far fronte allo stressor. Questo comporta una critica riduzione delle capacità adattive dell’organismo in generale. La fase di esaurimento può porsi come una vera e propria base per essere predisposti allo sviluppo di patologie, questo avviene perché, l’evento stressante si protrae oltre quella che è la resistenza dell’organismo.

Quando l’organismo non riesce a perpetuare il suo stato di resistenza nei confronti dello stressor, si generano patologie difficilmente reversibili e secondo Selye è possibile persino la morte.

Negli stessi Anni Trenta, il fisiologo W.Cannon ha parlato di una teoria dell’equilibrio, che riguarda l’omeostasi, intesa come la tendenza dell’organismo dell’uomo, e dell’animale a cercare un continuo equilibrio. Ecco perché, egli considera che c’è uno stress positivo e vitale, che è detto eustress, in quanto vi è l’attivazione dell’organismo di fronte a stimoli e pressioni ambientali come funzione dell’adattamento.

L’eustress riguarda il grado di novità, di prevedibilità e di evitabilità dello stimolo stressante, l’altro tipo di stress invece ha una connotazione nettamente negativa ed anche disadattiva, con caratteristiche di cronicità ed effetti devastanti, detto distress.

Nel 1967, Appley e Trumbull hanno definito lo stress come lo scarto che sussiste fra delle richieste ambientali e le reazioni cognitive, psicologiche, sociali e biologiche dell’individuo. Lo stress viene dunque visto come il risultato dell’interazione dinamica fra l’ambiente e le diverse capacità dei sistemi di funzionamento cognitivo, biologico e sociale; ciascuno dei quali è dotato anche di un’autonomia funzionale.

Questo rapporto tra fattori esterni ed interni mette in atto l’eccitazione neurovegetativa, che avviene per mezzo risposte automatiche, spesso disorganizzate. L’eccitazione neurovegetativa avviene anche sotto forma di reazioni mediate dai processi cognitivi, indipendentemente dall’efficacia di questi ultimi.

Appley e Trumbull hanno distinto due tipi di stress legati rispettivamente ad uno stressor acuto cioè momentaneo, diverso da uno stressor cronico, quindi quotidiano. Distinguono quindi lo stress per frequenza ed intensità.

L’organismo dunque, ogni qualvolta che si presenta uno stressor, deve valutare di che tipo di stress si tratta, ed in base a questo ed alla natura intrinseca dello stress (es. caldo/freddo), si regola sulla sua reazione.

È a Folkman e Lazarus che si deve il Modello Transazionale dello Stress e Coping del 1980. Questo modello considera lo stress come un insieme di processi, i quali comportano interazioni ed adattamenti tra persona ed ambiente, detti transazioni.

La persona è quindi vista come un agente attivo, in grado di influenzare l’impatto degli eventi stressanti, mediante strategie emotive, cognitive, comportamentali. Il processo di coping consiste in un’attività cognitiva, che procede ad una doppia valutazione della situazione quando si verifica un evento potenzialmente portatore di stress.

Gli individui cercano di valutarne il significato ed il suo probabile impatto sul proprio benessere: la valutazione primaria consiste nel giudicare quanto siano rilevanti ed imminenti il rischio e la minaccia da affrontare. Nella valutazione secondaria, la persona valuta cosa può eventualmente fare per affrontare il pericolo, quali risorse può usare, e se vi sia qualcosa che possa fare per migliorare le probabilità di ottenere un vantaggio.

Esistono due tipologie di coping il primo è incentrato sul problema, il secondo invece è concentrato sulle proprie emozioni. Solo successivamente il soggetto è in grado di discernere quale strategia di coping è stata usata.

Lazarus (1966) sostiene che la risposta agli stimoli stressanti è resa parzialmente specifica dalle esperienze personali precedenti e dalla struttura genetica, entrambe sono in grado di modificare le risposte personali agli stimoli.

Una decina di anni dopo, Cox sostiene che lo stress debba essere considerato un fenomeno individuale, in quanto ha origine fra una persona ed il suo ambiente specifico, vi è variazione nell’esperienza di stress e nella risposta ad esso. Cox descrive lo stress come un processo sistematico sulla base di un modello composto da cinque fasi

5 fasi dello stress

  1. La prima fase: è costituita dalle fonti presente nell’ambiente e dalle sue richieste
  2. La seconda fase: di fatto, coincide con una valutazione primaria e si riferisce alla percezione che la persona ha di queste richieste in relazione alla propria capacità di farvi fronte
  3. Terza fase: è rappresentata dai cambiamenti fisiologici, emotivi e psicologici e comportamentali associati al riconoscimento di uno stato di stress e, che comprendono il coping
  4. La quarta fase: è legata alle conseguenze del coping;
  5. La quinta fase: è il feedback che si verifica in relazione a tutte le altre fasi del modello

Il feedback allo stress potrebbe generare a sua volta stress.